venerdì 15 maggio 2015

Trilly Campanellino e il riscatto degli Squali





PLAYOFF 2015, DAY 2 - Appena ventiquattro ore fa speravamo di assistere ad uno spettacolo d’intensità agonistica, che tradotto in soldoni voleva dire ‘due semifinali combattute’. Con il senno di poi possiamo dire di essere usciti da un cenone di capodanno iniziato e finito con il cotechino, ovvero quello che per tradizione ti aspetti sempre di trovare, anche se magari poi neanche lo mangi. Le Finali di wheelchair hockey sono un po’ tutto questo, insieme. Cerchi di capire quale delle quattro squadre finaliste non vorresti vedere sul gradino più alto del podio, sempre perché siamo italiani, anche se poi dentro di te speri solo di vedere uno spettacolo di agonismo, talento, adrenalina, e se capita anche fortuna, che non guasta mai. La febbrile attesa delle due semifinali, valide per l’accesso alla sfida scudetto, non ha oscurato la mattinata dedicata alla serie cadetta. Nella giornata di ieri Dolphins e Dream Team hanno messo in chiaro la loro posizione di forza rispetto al discorso promozione, vincendo le gare d’esordio, rispettivamente contro Blue Devils e Madràcs, con due risultati rotondi, anzi, uno dei due decisamente ‘paffuto’. Il blasone di queste due grandi del passato hockeystico nostrano ha avuto la meglio sull’inesperienza di due formazioni imbottite di tanta freschezza ed altrettanta voglia di crescere, che da sole però, almeno in questo sport, non sono mai bastate per vincere. Qualche spunto positivo è arrivato dai Madràcs, gli stessi ragazzi di Udine che fino a ieri sognavano ad occhi aperti, capendo poco o niente di quello che stava accadendo in campo. I neroverdi hanno saputo dimostrare grande orgoglio, rialzando subito la testa a meno di ventiquattro ore dalla disfatta della gara d’esordio, e contro un avversario ancora una volta fuori portata, facendo rivedere a tratti il gioco ammirato durante l’intera fase a gironi, e ritrovando un Claudio Comino al tempo stesso lucido e spietato sottoporta. Il mattatore della partita è stato il solito Occhialini, che di mestiere fa il capitano. Se nella giornata di ieri ha alternato la sciabola al fioretto, oggi, in campo, ha messo solo tanta voglia di chiudere la pratica una volta per tutte. Una nota di merito va spesa in favore di Simone Giangiacomi, altra vecchia conoscenza anconetana che in questi primi due giorni di gare ha sbagliato poco o niente. Forse più niente che poco. Come il Dream Team, che ha saputo gestire allo stesso tempo risultato ed energie, riportando Milano là dove Milano deve stare, ed era ora.

Qualche sobrio festeggiamento e un pranzo veloce anticipano il momento più atteso, le due partite che decidono un bel pezzo di stagione. I primi a scendere in campo sono i campioni in carica padovani, che hanno nei romani in maglia gialloblu la peggiore bestia nera (per qualsiasi informazione andare alla voce ‘finale-scudetto’ edizione 2011/12 e 2012/13). I Thunder, privi tra i pali di quel monumento di tenacia umana ed abilità sportiva che risponde al nome di Gabriele Angelini, decidono di affidarsi all’usato sicuro, quello dei tre scudetti consecutivi tanto per intenderci. E la scelta sembra pagare. I romani arrivano al giro di boa sopra di uno e, soprattutto, senza aver subito reti. I Coco Loco, però, non sono più quelli delle due inesorabili sconfitte ad un passo dalla gloria, e lo dimostrano con una rimonta che sembra essere un trattato di umiltà e nervi saldi, condita da una vagonata di talento e malizia. Nel terzo quarto i gemelli del gol iniziano a suonare la loro sinfonia. Quando Salvo crea, Farcasel realizza; quando Salvo realizza, Farcasel crea. La capitale cede così il passo a quella che a detta di molti, nonostante il secondo posto nel girone di qualificazione, rimane la squadra da battere. E conti alla mano l’unica squadra che è stata in grado di battere la corazzata veneta nelle ultime due stagioni risponde al nome di Sharks Monza. Sì, peccato che la Brianza Alcolica stavolta ubriaca lo sembra per davvero. La semifinale contro la rivelazione Vitersport Viterbo non è propriamente una formalità ma, per il livello di gioco espresso dai lombardi nel corso dell’intera stagione, poco ci manca. Le partite, però, si vincono sul campo, e le Pantere laziali, in campo, stanno mettendo tutto, ma proprio tutto. Quella macchina da gol di Mattia Muratore illude con una doppietta che sembra proiettare i suoi verso l’agognata finale, sfiorata per ben tre stagioni consecutive. La piacevole passeggiata di salute degli Squali, verso la fine del primo quarto, subisce uno scossone improvviso quanto inatteso. Anche dall’altra parte hanno una macchina da gol niente male, si chiama Fatmir Kruezi, e quest’anno ne ha buttati dentro circa quaranta. Quella che sembrava ordinaria amministrazione, in pochi minuti, assume i tratti dello psicodramma tanto temuto. La maledizione semifinale sembra ripresentarsi prontamente con un ghigno ancora più sgradevole del solito. Definire la difesa monzese vista tra il secondo ed il terzo quarto non è semplice, soprattutto per coloro abituati a vedere i ragazzi di coach Dell’Oca esprimere concetti hockeystici ben diversi. La difesa recita la parte della bambola voodoo, infilzata più o meno ad ogni sortita offensiva avversaria, mentre la lampadina del campione sembra spegnersi definitivamente dopo l’errore dal dischetto che poteva far riavvicinare i suoi in vista del finale di gara. Ma proprio quando la contesa sembra volgere al termine succede qualcosa di incomprensibile. La Viterbo corsara che aveva dominato il campo in lungo e in largo improvvisamente tira i remi in barca, facendosi schiacciare dietro. La paura di farsi riprendere dalla squadra in preda allo psicodramma si materializza nella più beffarda delle auto profezie. Capitan “Fatmir” Uncino non fa più così paura, ed i bimbi sperduti di Monza, tutto a un tratto, non sembrano più così ‘sperduti’. A guidarli, però, non c’è Peter Pan, ma il ritorno di Trilly Campanellino, che riaccende la luce su una battaglia che sembrava perduta, sfrecciando come una scheggia impazzita in cerca dell’impresa, che puntualmente arriva, con un rigore (stavolta segnato) che pareggia i conti con il destino. Subire un parziale di 5-1 nel quarto decisivo insegna che la partita non la puoi vincere, ed infatti Viterbo si sgretola definitivamente ai tempi supplementari, abbattuto dai due gol decisivi del solito Mattia “Trilly” Muratore. Nemmeno l’improvviso malore di Luca Vanoli (a proposito: non facciamo scherzi, domani in campo!), e un rigore a favore sul finale (quello vero) sono bastati ai laziali per tirarsi fuori dal pantano nel quale, purtroppo, si sono andati a cacciare da soli. Probabilmente la partita più bella, e allo stesso tempo drammatica, degli ultimi anni. Incubo da una parte, favola a lieto fine dall’altra. Del resto il buon James Matthew Berrie l’Isola che non c’è cosa l’aveva immaginata a fare…


Fabregas














(foto - S. Bonezzi)

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